Water footprint, tra carne coltivata e allevamenti tradizionali 

Immagine con acqua Water footprint, tra carne coltivata e allevamenti tradizionali 

Vi siete mai chiesti quanta acqua si consuma per fare una doccia, per produrre una bottiglia di plastica o per far arrivare un kg di carne sulle vostre tavole?

Oggi, per la giornata mondiale dell’acqua, ci piacerebbe parlarvi di un tema molto dibattuto e cercare di chiarire come si calcola l’utilizzo d’acqua per la produzione di un determinato alimento. 

In vista anche degli obiettivi dell’agenda 2030, la ricerca scientifica presta molto attenzione a quelli che sono i consumi energetici in ambito delle produzioni alimentari. È chiaro però che non è sempre così semplice calcolare quali sono gli sprechi in una determinata produzione, essendo spesso filiere molto complesse. Prenderemo in esame la produzione di carne coltivata e quella di allevamento tradizionale.

Secondo i Lav. (lega antivivisezione)

“La carne coltivata ha un impatto ambientale minore rispetto alla carne convenzionale, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dei terreni e delle risorse idriche, aspetti per i quali la carne coltivata compete anche con gli alimenti plant-based. In particolare, con la diminuzione del numero di animali allevati, si libererà spazio per la riforestazione e per l’aumento della biodiversità”.

In realtà per quanto riguarda l’utilizzo di acqua per produzione di kg di carne la differenza non è molta. Si parla infatti di circa 500 l per kg di carne, ma cosa si prende realmente in considerazione nel calcolare questi litri? 

Le acque, infatti, non sono tutte uguali, abbiamo acque facilmente riemissibili nel ciclo idrico, mentre altre devono essere depurate. Questo processo ha un costo energetico elevatissimo. Ad esempio, nel calcolare gli sprechi di acqua in un allevamento tradizionale si calcola anche l’utilizzo che se ne fa per la produzione di mangimi, ma allo stesso tempo anche produrre le vitamine e i nutrimenti necessari per moltiplicare la carne nei bioreattori ha dei processi produttivi che richiedono utilizzo d’acqua. Perché non vengono presi in considerazione quando si parla del consumo di carne coltivata?

Inoltre, come si era accennato precedentemente, l’acqua utilizzata nei bioreattori è un’acqua con un costo elevatissimo (blue water) che per essere reimmessa in un ciclo naturale deve essere necessariamente sterilizzata da tutte le sostanze potenzialmente nocive.

Secondo gli studi rilevati dal The International Journal of Life Cycle Assessment (2023): “Le aziende produttrici di clean meat si propongono di utilizzare un metà dell’acqua da fonti rinnovabili. Resta il fatto che i dati a disposizione sono ancora molto pochi essendo al livello legislativo ancora vietato produrre carne coltivata in Italia .” 

È quindi vero che per essere più precisi bisognerebbe fare una vera e propria distinzione tra tipologie di acque. Questo aspetto non si prende mai in considerazione e ciò porta ad un risultato poco realistico della situazione attuale. E’ pur vero che per quanto riguarda la carne coltivata sono ancora molto pochi i dati da poter prendere in esame. 

La soluzione sarebbe differenziare le acque e da questo partire per poter calcolare realmente l’utilizzo, messo in relazione con il costo energetico e la fonte dalla quale deriva l’acqua che utilizziamo. Vi riportiamo un articolo su cosa succede nel calcolo dell’impronta idrica degli allevamenti:

«Impronta Idrica degli allevamenti
Quello dello studioso olandese Arjen Hoekstra è un metodo di calcolo nel quale molti aspetti sono inutilmente considerati, altri invece ignorati. Per gli allevamenti viene sommata l’acqua blu (prelevata dalla falda o dai corpi idrici superficiali), l’acqua verde (piovana e o traspirata dal terreno durante la crescita delle colture) e l’acqua grigia (necessaria per diluire e depurare gli scarichi idrici di produzione) senza distinzione in rapporto alla loro disponibilità idrica, il che è scorretto. Se l’acqua blu non fosse utilizzata, sarebbe disponibile per altri scopi. L’acqua verde, che è proprio l’acqua preponderante nella produzione della carne, latte e uova, rappresentando più dell’80% dell’impronta idrica totale, in funzione della specie considerata. Pertanto, l’acqua verde contribuisce in misura minima al fenomeno di una paventata carenza idrica.»

La ricerca in questo ambito continua ad andare avanti e sicuramente ci vorranno diversi anni prima di poter avere dati certi. È bene non farsi spaventare dalle novità né tantomeno credere a tutto quello che sentiamo. Voi che ne pensate: c’è bisogno di più chiarezza quando si parla di innovazione?